Per concludere, è necessario concentrarsi sulle seguenti osservazioni. L’umanità del XX secolo, come disse Italo Calvino in “Le capre di Bikini” (1946), ha visto le sue più profonde contraddizioni: disumana negazione della dignità umana; esaltazione universale dei diritti umani; de-umanizzazione dei diritti a favore degli “altri” (dalla tecnologia agli animali: la commozione americana per le capre di Bikini uccise dalla sperimentazione atomica, non per i giapponesi sterminati dalle bombe). Heidegger parlava di un essere umano che si era finalmente “staccato” dalla realtà “senza mondo” (le cose) e dall’essere vivente “povero di mondo” (animali e piante). Ma, per dirla con Bobbio, il Novecento ha segnato anche l’inizio dell'”era dei diritti”. “Insomma, il nuovo millennio ha ereditato dal secolo precedente nozioni complicate di diritti, come l’umanesimo, la fede nella tecnologia (che sfrutta la natura e manipola la vita), il naturalismo (che ignora la differenza culturale tra l’uomo e gli altri esseri viventi) (le capre di Bikini invece delle vittime di Hiroschima). Questa via rappresenta invece l’apice della cultura giuridica occidentale degli ultimi due secoli, che è stata soprannominata da uno storico del diritto, Bernd Marquardt, “diritto costituzionale fossile”, perché si basa sullo sfruttamento di risorse naturali finite allo scopo di sviluppare i bisogni di contenuto materiale dell’umanità (trasporti, luce, ecc.), che sono considerati separati e addirittura predominanti rispetto all’accesso ai bisogni naturali di sopravvivenza (mangiare, bere, respirare). Questa distinzione (tra bisogni materiali e naturali) non solo è estranea alle altre culture giuridiche del mondo (si parla, con H. P. Glenn, di almeno cinque “tradizioni giuridiche” diverse da quella occidentale in termini ecologici), ma è anche vista come la fonte della devastazione naturale e dell’ingiustizia sociale globale, in particolare sulle prime linee della sopravvivenza umana. Il recente secondo ultimatum lanciato all’umanità da 15.000 scienziati (World Scientists’ Warning to Humanity: A Second Notice 2017), incentrato sull’utilizzo ineguale delle risorse e dei servizi ecosistemici per le esigenze naturali, ha confermato la sua innegabile importanza.
I diritti della natura e il cammino della “demodiversità
Siamo lieti di presentare e segnalare nell’area “Ricerche” la voce Diritti della natura di Michele Carducci, tratta dal Digesto delle Discipline Pubblicistiche, curato da Raffaele Bifulco, Alfonso Celotto e Marco Olivetti, e diretto da Rodolfo Sacco. Si tratta di una compilazione ricca e approfondita sul rapporto tra “natura” e “diritto”, che viene definito come “bene comune” attraverso il discorso storico, filosofico e giuridico. Una parte sostanziale segue il lemma, che contiene la bibliografia, la legislazione e la giurisprudenza chiave.
Presentazione dell’autore
È possibile che la natura abbia dei diritti? Qual è il rapporto tra democrazia e natura? Questi temi sono nuovi nel contesto del diritto comparato, ma non sono inediti nella storia del diritto ambientale e del diritto costituzionale (si pensi alla “Carta della foresta” del 1217, alla “Kouroukanfouga” africana del 1222-1239, al dibattito nella seconda Convenzione francese del 1792, alla Costituzione di Haiti del 1805). Sia le Nazioni Unite che il preambolo dell’accordo sul clima di Parigi (al COP21) hanno adottato l’appello alla natura. La natura, in particolare, “ha dei diritti”, secondo i dibattiti dell’Assemblea delle Nazioni Unite. L’iniziativa “UN Harmony with Nature” documenta questa nuova linea normativa, oltre a fornire aggiornamenti su legislazioni e sentenze in tutto il mondo che la confermano o la riconoscono, così come se è legata a pratiche e procedure democratiche o meno. Poi si tratta di capire cosa potrebbero comportare i “diritti della natura” e come collegarli alle “tecniche democratiche” di amministrazione umana gestione dell’ambiente e del territorio.
Democrazia e natura
Sebbene tale condizione sia stata condannata fin dalla seconda metà del XX secolo, è solo ora, per la prima volta, che l’ONU l’ha adottata, almeno come base metodologica dell’Agenda Globale 2030. L’ONU si riferisce ai “diritti della natura” in questa nuova visione. Tuttavia, il panorama globale è ancora convergente su quali “metodi” concretizzare questi “diritti”. “La legittimazione a intraprendere azioni legali per rappresentare e proteggere non solo gli interessi di sopravvivenza umana, ma anche quelli di altre componenti viventi o vitali (la cosiddetta “azione protettiva” costituzionalizzata in alcuni stati); l’istituzione di autorità indipendenti dalla politica e dagli interessi corporativi, composte da rappresentanti della società, della scienza e delle culture (dove c’è pluralismo giuridico), con poteri di vigilanza e proposta agli organi di governo politico (dove c’è pluralismo giuridico); e l’istituzione di autorità indipendenti dalla politica e dagli interessi corporativi, composte da rappresentanti della società, della scienza (le cosiddette “Agenzie per la difesa della Terra”). Istituzionalizzazione di partnership tra università, organizzazioni non governative, associazioni territoriali e governi locali per favorire circoli virtuosi di informazione, discussione e condivisione dei problemi, nonché la ricerca di risposte sullo “sviluppo sostenibile” (ad es. con le “Consulte”). (ad es. con le “Consulte”); recupero dei saperi rurali, coniugandoli con le acquisizioni scientifiche e tecnologiche (anziché abbandonarli); pratica della cosiddetta “demodiversità” (la democrazia non è solo elezione e legittimazione alle decisioni, ma condivisione di “metodi” in ambiti diversi che riguardano i bisogni vitali di bere, mangiare e respirare). L’ultimo profilo è il più importante di tutti: il tema dei “diritti della natura” può aprire nuove iniziative democratiche ecologiche.
Origini e orientamento della “demodiversità
In fondo, il termine “demodiversità” è nato in America Latina e in Africa, proprio in seguito all’emergere di esigenze legate alla natura in una triplice accezione: come tutela prioritaria e non negoziabile della salute di ogni forma di vita rispetto, soprattutto, agli interessi economici di estrazione e sfruttamento fossile del territorio; come criterio di ripartizione delle competenze tra Stato e autorità locali, in alternativa o in aggiunta a quello dell’indipendenza giudiziaria; per dirla in altro modo, è nato come condivisione diretta di due problemi specifici: la salute di tutti gli esseri viventi (il diritto alla salute come interesse dell’ecosistema, non solo della comunità umana); e la tematizzazione dei “diritti delle generazioni future” in termini di riduzione del “deficit ecologico” del pianeta. “In questo senso, le pratiche di “demodiversità” superano anche le tecniche di “valutazione d’impatto” per la protezione dell’ambiente, almeno per due motivi: continuano a basarsi sulla distinzione tra interessi umani e biodiversità (quest’ultima intesa solo come flora e fauna), funzionalizzando la discussione sui bisogni vitali agli interessi economici; e assumono e accettano le “esternalità negative” della biodiversità proprio per questa separazione.